Caronte

Posted in Parole e foglie nel vento with tags , , on 15 Maggio 2014 by alamuth

Nella mitologia greca e nella mitologia romana, Caronte (in greco Χάρων, “ferocia illuminata”) era il traghettatore dell’Ade: trasportava i nuovi morti da una riva all’altra del fiume Acheronte, ma solo se disponevano di un obolo (una moneta) per pagare il viaggio; chi non l’aveva era costretto a errare tra le nebbie del fiume per cento anni. Nella Grecia antica era in uso mettere una moneta sotto la lingua del cadavere prima di seppellirlo.Gustave Dorè - Caronte

La tradizione rimase viva in Grecia fino ad epoche abbastanza recenti ed è probabilmente molto antica. Qualche autore sostiene che il prezzo era di due monete, sistemate sopra gli occhi del defunto. Nessuna anima è mai stata trasportata dall’altra parte, con le sole eccezioni di Persefone, Orfeo e Psyche. Caronte è il figlio di Erebo e Notte e viene descritto come un uomo vecchio e magro.

Caronte nella Divina Commedia

“Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: ’Guai a voi anime prave! Non isperate mai veder lo cielo; i’ vegno per menarvi all’altra riva ne le tenebre eterne, in caldo e ‘n gelo. E tu che se’ costì, anima viva, pártiti da cotesti che son morti’.” (Inferno, Canto III, vv.82-89)

Caronte si rivolge alle anime  dei dannati, ricordando loro il destino che le aspetta (non vedranno mai il Cielo, Dio, la beatitudine), e si accorge che fra loro c’è l’anima di un vivo, di Dante. Interviene allora Virgilio a spiegare che la presenza di un’anima viva è voluta dalla volontà superiore di Dio: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole (così si vuole lassù, in Cielo, dove si può fare ciò che si vuole). E con queste parole, Caronte tace e riprende il suo eterno compito di nocchiero.

Caron di AcheronteCaronte (天間星アケローンのカロン Akerōn no Karon), Caron di Acheronte, nella traduzione del manga, è un personaggio dell’anime e manga I Cavalieri dello zodiaco, ideato dal mangaka Masami Kurumada

Sulle mura di Lucca

Posted in Parole e foglie nel vento with tags , , , , , on 17 giugno 2013 by alamuth

(…)la città dall’arborato cerchio,

ove dorme la donna del Guinigi(…)

Un concetto emblematico quello espresso nei versi di D’Annunzio, che descrive in poche parole quella che è la città di Lucca attraverso il suo elemento più caratteristico, la cinta muraria. Dall’epoca romana a quella medioevale più volte il perimetro della città è stato cinto da mura ma è in pieno rinascimento che si ha la vera svolta. Esempio tra i più importanti in Europa di quella che viene definita fortificazione “alla moderna” vengono progettate e costruite in seguito al mutamento delle tecniche d’assedio che rendono necessario un tipo di fortificazione più efficace e resistente, siamo intorno al 1491 circa ma i veri lavori iniziano nel secolo successivo. Dopo una serie di costruzioni preliminari che si dimostrano inefficaci e obsolete, intorno al 1544 l’Offizio delle Fortificazioni decide di mobilitare il top degli ingegneri bellici dell’epoca, da Galeazzo Alghisi a Francesco Paciotto da Urbino passando per Baldassarre Lanci e addirittura si volge lo sguardo oltralpe andando a cercare altri ingegneri nei Paesi Bassi per poi rivolgersi infine ad una delle personalità più importanti dell’epoca, Alessandro Farnese, l’eroe di Lepanto, terzo duca di Parma e Piacenza, quarto duca di Castro e in quel periodo comandante dell’Armata delle Fiandre. Il progetto di Farnese risulta essere il più convincente e preso per definitivo viene seguito alla lettera dagli ingegneri successivi fino alla conclusione dell’opera, avvenuta nel 1650 circa. Da un punto di vista architettonico, le Mura si compongono di dodici cortine a terrapieno, che congiungono tra loro undici baluardi, con paramento in laterizio, di dodici metri d’altezza e trenta di larghezza alla base, sei porte risalenti a epoche diverse per una lunghezza totale del perimetro di 4,223 Km. Un’opera di grande ingegneria, garofano all’occhiello della Repubblica Serenissima nonché baluardo inespugnabile della sua libertà che tuttavia non vedrà partire nemmeno una palla di cannone dai suoi spalti. Le MuraLe Mura di Lucca infatti non saranno mai utilizzate in guerra, ma nel 1812, chiuse per bene le porte d’accesso alla città e foderate di paglia e materassi, impediranno al Serchio in piena di invadere il centro cittadino. Nonostante l’accesso dovesse essere vietato ai civili e gli alberi piantati avessero la funzione di rifornire di legna l’esercito, sotto il dominio borbonico perdono ormai la loro connotazione bellica, nel 1840 viene costruito un caffè e assumono quella più frivola di parco cittadino, offrendo ai lucchesi una promenade alberata che permette di godere dal’alto di una splendida vista sul centro storico. È opinione comune che il vero lucchese sia colui nato dentro le mura o come si dice in dialetto “Lucca drento”, anche se vi è un limite ideale che è quello secondo cui è città di Lucca ciò che rientra nelle sei miglia dalla fortificazione. Segno di potenza e ricchezza, nonostante il trascorrere del tempo il loro fascino resta incorrotto, elemento suggestivo e allo stesso tempo portatore di una certa positività essendo un raro esempio di come uno strumento di guerra possa trovare la sua piena realizzazione diventando un’oasi di pace e luogo di svago.

 

Gloomy Sunday

Posted in Parole e foglie nel vento, Poems&Songs with tags , , , , on 19 febbraio 2013 by alamuth

Scritta nel 1933 da Rezsô Seress, pianista e compositore  nato in Ungheria in 1899. Nessuna delle sue composizioni riusciva ad impressionare i produttori francesi, ma Seress continuava ad inseguire il suo sogno. Le sue aspirazioni artistiche seguite da fallimenti erano causa di continue discussioni con la sua fidanzata e che portarono alla definitiva rottura dopo una lite furibonda nel 1933.

gloomy sundayIl giorno dopo la lite, una domenica, Seress era seduto al piano, nel suo appartamento. Fuori dalla finestra un cielo plumbeo, una Parigi grigia e bagnata da una pesante pioggia. Cominciò a suonare. Una melodia lenta e malinconica, dove ogni nota si incupiva dell’alone di infelicità che aleggiava intorno a Seress,  A gloomy sunday. La struggente melodia fu messa su pentagramma e inviata, ad uno dei tanti produttori che lo avevano già rifiutato in passato. Dopo un primo rifiuto fu mandata ad un altro produttore, e fu finalmente accettata. La canzone fu presto distribuita in tutto il mondo, e Seress ne fu entusiasta. Un paio di mesi dopo la pubblicazione, cominciarono a verificarsi una serie di strani eventi, che in qualche modo erano collegati alla canzone. A Berlino un giovane chiese ad un gruppo di suonare Gloomy Sunday, e alla fine dell’esibizione l’uomo andò a casa e si fece saltare la testa con un revolver, dopo essersi lamentato con la famiglia del fatto che si sentisse terribilmente depresso dopo aver sentito la melodia di una canzone che non riusciva a togliersi dalla testa. La canzone era Gloomy Sunday. Una settimana dopo nella stessa città una giovane commessa fu trovata impiccata nel suo appartamento. La polizia, che si occupò delle indagini, rinvenne nella stanza della ragazza suicida lo spartito di Gloomy Sunday. Due giorni dopo quella tragedia, una giovane segretaria di New York si uccise asfissiandosi con il gas, e in una nota chiese che Gloomy Sunday fosse suonata al suo funerale. Qualche settimana più tardi un altro newyorkese 82enne si buttò dalla finestra del suo appartamento dopo aver suonato la stessa canzone al pianoforte. Contemporaneamente un adolescente a Roma, dopo aver sentito la canzone, si uccise gettandosi da un ponte. I giornali di tutto il mondo cominciarono a riportare altre morti associate alla canzone di Seress. Un giornale parlò del caso di una donna in North London, che teneva a tutto volume una registrazione di Gloomy Sunday, facendo infuriare e spaventando i vicini, che avevano sentito delle fatalità collegate alla canzone. La puntina si incantò in un solco, e lo stesso pezzo di canzone continuò a suonare ripetutamente, bussarono invano, poi decisero di forzare la porta e trovarono la donna morta sulla sua poltrona, in overdose da barbiturici.rainy sunday

Nei mesi successivi continuarono a verificarsi morti che in qualche modo potevano essere collegate a Gloomy Sunday, e questo portò la Bbc a proibirne la diffusione via radio. In Francia lo stesso Seress si trovò a vivere in prima persona i nefasti effetti della sua creazione. Scrisse alla sua ex fidanzata, cercando una riconciliazione. Pochi giorni dopo gli arrivò la tragica notizia. Seress apprese dalla polizia che la sua amata si era avvelenata. Accanto al suo corpo, fu ritrovato uno spartito di Gloomy Sunday. Lo stesso Seress morì gettandosi dall’ultimo piano di un palazzo a Budapest nel 1968. Dopo la prima versione di Seress, il testo fu scritto da László Jávor con un tono più doloroso e malinconico, per poi assumere la forma definitiva in inglese nelle parole di Sam M. Lewis, che aggiunse una terza strofa tesa a dare alla canzone un tono più sognante e meno lugubre, anche per levarle di dosso la già cupa fama che l’accompagnava. Negli Stati uniti e in Inghilterra si dice ci furono ben 200 suicidi dovuti all’ascolto della versione di Billie Holiday nel 1941.

Sunday is gloomy, 
My hours are slumberless 
Dearest the shadows 
I live with are numberless 
Little white flowers 
Will never awaken you 
Not where the black coach of 
sorrow has taken you 
Angels have no thoughts 
Of ever returning you 
Wouldn’t they be angry 
If I thought of joining you? 

…Gloomy… sunday… 

Gloomy is sunday, 
With shadows I spend in all 
My heart and i 
Have decided to end it all 
Soon there’ll be flowers 
And prayers that are sad I know 
let them not weep 
Let them know that I’m glad to go 
Death is no dream 
For in death I’m caressing you 
With the last breath of my soul 
I’ll be blessing you 

…Gloomy… sunday…

Labirinti e dintorni…

Posted in Parole e foglie nel vento with tags , , , on 23 agosto 2012 by alamuth

Dal greco λαβύρινθος.

Il labirinto è una struttura, solitamente di grandi dimensioni, costruita in modo tale che risulti difficile o addirittura impossibile, per chi vi entra, trovare l’uscita. Lo storico latino Plinio, nella sua Naturalis Historia parla di quattro labirinti: il labirinto di Cnosso a Creta, il labirinto di Lemno in Grecia, il labirinto di Meride in Egitto e il labirinto di Porsenna in Italia. Il labirinto è considerato anche un sistema di difesa a carattere iniziatico posto a guardia di un luogo sacro o di un tesoro (la vita e l’immortalità). Quando protegge una città o un tempio è assimilato all’immagine della fortezza; quando rappresenta una qualità spirituale viene identificato con il pellegrinaggio simbolico in Terrasanta (come nel labirinto di Chartres) oppure con il tortuoso cammino della Virtù in fuga dal vizio.

La via di uscita da questo percorso potenzialmente infinito è concessa a colui che accoglie e valorizza la parte femminile della propria personalità (anima), rappresentata dall’aiuto offerto all’eroe da una fanciulla (vedi il filo d’Arianna).
Il viaggio nel labirinto indica sia il cammino interiore verso la conoscenza del Sé più profondo (il puro cuore o la mens dei mistici cristiani) sia l’itinerario dell’anima dopo la morte del corpo. Si tratta di azioni iniziatiche che forniscono all’adepto le qualità necessarie per superare gli ostacoli che si oppongono all’elevazione spirituale, offrendogli strumenti per affrancarsi dal ciclo delle rinascite terrene.
Gli alchimisti associano all’immagine del labirinto quella del Nodo di Salomone, simbolo di morte e della resurrezione spirituali. Questo emblema è utilizzato anche per rappresentare il concetto di infinito.

Una delle immagini più celebri del labirinto è il palazzo di Cnosso, costruito da Dedalo per il re di Creta Minosse e abitato dal Minotauro.

L’Eros di Platone

Posted in Parole e foglie nel vento with tags , , , , , on 8 giugno 2012 by alamuth

Per l’anima il corpo è come una prigione, in cui essa cade per colpe precedenti e da cui deve liberarsi nel modo più completo, per tornare a contemplare le idee in tutta la loro purezza e a vivere nel mondo iperuranio. La vita del filosofo si delinea quindi come una “preparazione” alla morte, come una costante purificazione da ciò che è corpo e sensibilità, e cioè dall’opinione nel campo della conoscenza e dal piacere nel campo della vita morale. Questa esigenza mistica ed ascetica, tuttavia, convive in Platone con l’altra, tipicamente greca, mondana ed eudemonistica (dal greco εὐδαιμονία, essere con un buon demone ovvero essere felici). Così, da un lato, il filosofo si configura, e lo vedremo, come il perfetto “politico” e, dall’altro, come il perfetto “amante”: egli ama la sapienza, proprio perché non la possiede ma la desidera, ed è perciò intermedio tra il Sapiente (Dio) e l‘Ignorante. In questo senso, il filosofo è l’incarnazione dell’amore del bello e del bene, ma anche della mancanza di essi (e per questo li desidera). La mancanza, la privazione, non può essere una nota negativa, è un elemento positivo, dialettico, senza il quale éros non potrebbe svolgere la sua funzione di pulsione, spinta. Questo è il senso del mito di Eros: non Dio, ma neppure mortale, concepito durante il banchetto per la nascita di Afrodite, da Ingegno (Poros) e da Povertà (Penìa), Eros ha entrambe le nature dei suoi genitori e perciò è intermedio (metaxy) tra la divinità e gli uomini, tra l’abbondanza e la miseria, tra la soddisfazione e il desiderio, tra l’immortalità e la morte. Eros non rappresenta un’esperienza determinata, ma la condizione di ogni esperienza: il suo fine è di “rendere l’universo collegato in sè intrinsecamente”; esso è pertanto l’universale desiderio ad un “perpetuo possesso del bene”, che ha in se stesso, nel suo appagamento, il suo fine assoluto: la felicità. In questo eudemonismo radicale, che sembra recuperare l’unità socratica del bene-attraente, di teoria e di desiderio, torna però immediatamente a inserirsi il motivo intellettualistico, non appena Platone torna a guardare all’assoluto valore dell’oggetto ultimo del desiderio. Eros è desiderio della “generazione e procreazione nella bellezza”: generazione secondo il corpo, per mantenere la specie; secondo lo spirito, per produrre virtù e sapienza; alla mancanza, alla incompletezza proprie di chi ama torna a contrapporsi così l’assoluta perfezione e autarchia dell’oggetto amato. In tal modo éros si presenta come un'”iniziazione”, come un’ascesa progressiva verso la rivelazione dei misteri “perfetti e contemplativi” e verso la conquista di un valore assoluto: dapprima l’amore per un bel corpo e poi l’amore per la bellezza corporea, per le belle anime, per le belle opere dell’attività umana e soprattutto per le leggi, per arrivare all’amore per le belle scienze. Terminata così l’iniziazione si ha “d’improvviso” la rivelazione della bellezza “in sé”, eterna e immutabile.